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Come mai in gara rendo più che in allenamento?

Come mai in gara rendo più che in allenamento?

I ricercatori dell'Università dell'Essex ci spiegano cosa ci spinge ad andare più forte durante una gara di resistenza

Vi siete mai chiesti (non barate, lo sappiamo che ve lo siete chiesti) come mai in gara andate più forte che in allenamento? Avvicinarvi al passo gara che tenete in gara in allenamento sembra un'impresa titanica, scoraggiante a volte. Chiaramente ci sono alcuni fattori ambientali ed emotivi che giocano a far sì che questo meccanismo si manifesti: lo stimolo della gara, la competizione con altri concorrenti, le dinamiche motivazionali che si scaturiscono prima e durante la gara (pubblico, ricerca del P.B., ecc...). Per far chiarezza su questo processo di amplificazione delle risorse è intervenuta, qualche mese fa, l'Università dell'Essex che allo European College of Sports Science’s Annual Congress a Vienna ha presentato una ricerca che ha analizzato gli effetti della “competizione” sull' affaticamento cerebrale e muscolare degli atleti che praticano sport di endurance (podismo, ciclismo ecc.).

Lo studio ha analizzato i risultati emersi dalle prestazioni di un target di ciclisti, chiamati a percorrere (in laboratorio) un tracciato di 4 km per 2 volte, la prima in solitudine, la seconda contro un avversario “virtuale”. Il risultato è stato il seguente: 6'.33” in solitudine e 6'.22” con uno sfidante. Le direttive dei ricercatori, imposte agli esaminandi, erano quelle di sforzarsi a produrre in entrambe le situazioni, il loro massimo sforzo muscolare, monitorandoli attraverso uno stimolatore elettrico. Tutto ciò per poter calcolare l'affaticamento “periferico” (l'indebolimento muscolare al termine della prova) e l'affaticamento “centrale” (l'indebolimento dello stimolo cerebrale ai muscoli).

I risultati che sono emersi hanno mostrato che l'indebolimento “centrale” era maggiore nella simulazione di gara piuttosto che nella prova in solitaria anche se in maniera non considerevole (un decremento del 4.9% nella gara contro il 3.4% in solitaria). Ragguardevoli invece i risultati affiorati dall'analisi dell'affaticamento “periferico”, quello muscolare per capirci (un decremento del 16.2% in solitaria contro il 23.1% della gara). Gli studiosi riportano, nel loro lavoro, che la presenza di un “avversario” (sia questo reale o virtuale) permette agli atleti di utilizzare il massimo delle loro capacità fisiologiche, consentendo una maggiore resistenza allo sforzo fisico. Il lattato prodotto dai muscoli invia segnali al nostro cervello che vengono percepiti come dolore, la resistenza volontaria a questi stimoli ci permette di spingerci oltre. Nulla di nuovo per carità, ciò nonostante una ricerca del genere ci permette di prendere coscienza che una delle differenze fondamentali nella risposta fisiologica del nostro corpo, che avviene tra l'allenamento e la gara è proprio prodotta dalla maggiore resistenza al “dolore” e alla fatica che riusciamo a mettere in gioco quando ci confrontiamo con un avversario.

A parer nostro (quello di appassionati, sia chiaro), i processi differenti che incorrono in gara ed in allenamento non si possono ridurre alla sola analisi dello stimolo generato da una competizione. Può essere però un punto di partenza e può mostrarci ancora una volta come spesso (molto spesso) alcuni confini mentali condizionino, nel bene e nel male, le nostre prestazioni. 

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